PREFAZIONE
Si è già scritto molto sull’utilità e
sulla piacevolezza della drammatizzazione, in contesto ludico, didattico,
psichiatrico. A scuola poi, c’è l’interazione coi ragazzi anche in fase di
stesura o di adattamento del testo, di ideazione della scenografia, di
reperimento e di creazione degli elementi di essa, e la drammatizzazione è utile per tanti motivi, più volte ricordati in migliaia di testi. Inoltre, ai ragazzini piace molto.
I bambini amano molto i personaggi
fantastici, streghe fate draghi (anche aver paura ha il suo fascino, nella
tranquillità della propria casa o dell’aula), ma questa commedia è nata quando
ho voluto fare coi ragazzini (IV Primaria) una ricerca sulle piante officinali
che ci ha fatto riflettere, tra l’altro, a quanto fosse pericoloso e complesso usare
le erbe per curarsi, quando non esistevano sistemi di misura del tempo e del
peso. Abbiamo scoperto che la stessa erba diventava inutile se l’infusione era
troppo breve, e addirittura nociva se era troppo lunga, o se la quantità era sbagliata.
Per questo, coi ragazzini abbiamo ipotizzato che il ritmo e la lunghezza delle cosiddette
“formule magiche” servisse in realtà a misurare, in modo almeno approssimativo,
il tempo di cottura o di infusione. Naturalmente, a scanso di problemi, nella
commedia ci siamo limitati a nominare solo piante innocue, come l’alloro o la
camomilla, e modi innocui di prepararle. Di ogni erba o fungo poi, abbiamo
privilegiato il nome popolare, quando c’è (manine, barba di frate, dente di
leone, artiglio del diavolo, code di topo, …), perché più favoloso di quello
scientifico, vagamente horror, e quindi più affascinante per dei ragazzini.
La commedia è nata quindi dal desiderio di
sfruttare in qualche modo una ricerca durata tutto l’anno. In essa quasi non si
accennava neppure alla streghe “storiche”, e quelle della commedia (maschi e
femmine) sono solo esperte di erboristeria che si incontrano per condividere le
proprie scoperte sulle piante officinali e gli esperimenti di cura, in un mondo
che non le capisce e le teme, con “i villani” che finiscono spesso per
accusarle dei propri errori e della propria pigrizia.
La scelta di fare dei simil-rap, in una classe che faceva teoria musicale e aveva vinto
concorsi di filastrocche, è dovuta alla facilità di creare ritmi in C per
movimenti che a volte diventano una specie di danza. Come succede con alcune
parole “antichizzate”, la grande ritmicità della filastrocca, con le sue
semplici rime, in qualche modo simula un linguaggio antico: per questo le “Streghe” dell'anno 1000 nella commedia parlano in rima, mentre i “Ragazzi”, personaggi del nostro tempo, parlano
in prosa.
All’inizio però, dopo il “rap delle
streghe” con cui la “congrega” si presenta al pubblico, la “strega” Melina dice
di non aver potuto dormire dalla fame, quella notte: è un modo per incuriosire i bambini sulla vita nei secoli passati, argomento naturalmente affrontato nello studio della storia. Inoltre, sempre sulla differenza fra il passato e il presente, la “strega” Brufoletta, alla fine, dice alla ragazzina Ghita che lei ha
la possibilità di studiare, se davvero, come dice, vorrà curare le persone come
facevano le “streghe”.
La trama si svolge in parte nel Medioevo,
e in parte al giorno d’oggi. L’unico elemento chiaramente fantastico della storia
è il salvataggio del proprio tesoro, che le "streghe" hanno chiesto a una fatina: lei l’ha
spedito “a mille anni da questo giorno”, nel computer di un ragazzino di oggi.
La rappresentazione termina con l’adattamento
di una canzoncina di ambiente scoutistico, suggerita da una collega: parlare di ubriacatura che fa barcollare e cadere e dire la parola "deficiente", divertiva
i bambini… Rispetto alla canzoncina originale, ci sono solo due variazioni: filtri magici "per far dormire i draghi", non per ammazzarli e l'ultima strofa, aggiunta per ricordare che non c'era niente di magico, nelle pozioni delle "streghe", ma solo erbe, e un po' di psicologia.
Laila
Cresta e la IV A TP (anno 2000)
I.C.
Centro Storico, Genova- Primaria “Embriaco”
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